Sono arrivata a Santander giovedì 26 gennaio, dopo un breve viaggio in aereo, un diretto di Ryanair da Venezia. Sono arrivata e pioveva e faceva freddo, non proprio il clima dei miei gusti, ma sono riuscita a raggiungere il mio alloggio senza intoppi.
Nel mese in cui vivrò qui a Santander, mi ospitano due sorelle sulla settantina nel loro appartamento piccolo, ma accogliente. Mi hanno messo a disposizione una stanza con il letto e la scrivania: nell’annuncio avevano scritto che accoglievano solo ragazze sopra i 25, studentesse o lavoratrici. Così io, in questa stanza, ci dormo e ci lavoro.
Come facevo nella mia casa a Treviso, ma con un altro panorama alla finestra. E soprattutto, sola. Sì, perché sono partita sola per questo viaggio, una necessità che avevo sviluppato da qualche tempo, ma mai soddisfatta per svariate ragioni.
Per ora mi sto trovando bene in questa nuova situazione. Riesco a praticare lo spagnolo, evitando di parlare inglese anche se potrei. Sto visitando la città a piedi, come piace a me, fermandomi quando mi viene voglia di fermarmi e ripartendo quando sento che è il momento. Mi sono segnata alcuni posti da vedere, e pian piano li sto scoprendo, coi miei tempi.
Ogni tanto sento una certa leggera ansia che comincia a salirmi dall’esofago, ma la ricaccio indietro. È quella maledetta ansia che vorrebbe innestarmi in qualche parte del cervello la paura della solitudine. Ma se sono qui è una scelta mia, e intendo onorarla. Nulla mi vieta di tornare indietro.
Ieri, sabato, ho visitato il Centro Botìn, complesso culturale progettato da Renzo Piano, che ospitava una mostra di arte contemporanea. La sera ho fatto due passi nella zona del Cañadio, nota per i bar e i locali frequentati dalla popolazione giovane di Santander. Mi sono fatta tre bicchieri di vino tinto (rosso), dopodiché ho deciso che fosse meglio tornare a casa, considerata anche l’enorme stanchezza accumulata durante la giornata.
Oggi, domenica, ho camminato almeno un’ora fino alla Peninsula de La Magdalena, per visitare il Palacio omonimo. Ad un certo punto ha cominciato a scendere una pioggia leggera, ma ormai ci sto facendo l’abitudine a questo clima londinese di Santander. Anche il palazzo della Maddalena è in stile inglese, voluto così da Alfonso XIII di Spagna per onorare la consorte Victoria Eugenia, di origini britanniche. La penisola, oltre al palazzo reale, ospita anche un grande parco e un piccolo zoo con foche, leoni marini e pinguini africani.
Terminata la visita, stavo letteralmente morendo di fame. È stata una mezza impresa ritornare in centro città per trovare un posto dove mangiare, la stanchezza e la fame mi stavano addosso, pesanti e presenti. Finalmente, sono arrivata nel locale che mi ero riproposta di provare: la Tasca, una pizzeria che, stando a quanto spiegato dalla padrona di casa, avrebbe dovuto fare un’ottima pizza, come quella italiana.
Forse non era la giornata giusta, ma di certo la pizza non era come quella italiana. In quel momento però non m’importava, con la fame che avevo: non ne ho lasciato neanche una briciola, mangiando perfino i carciofini (non li avevo visti tra gli ingredienti), che non mi piacciono per niente.
Ho preso una buona abitudine durante la settimana. Dopo lavoro esco a fare una passeggiata di un’ora, camminando fino alla “Duna”, una piattaforma a forma di punta da dove si vede benissimo il tramonto. Così ogni sera guardo il tramonto da lì, un’abitudine anche questa (quella di guardare ogni giorno il tramonto, o l’alba), presa per migliorare le mie giornata. Perché un’alba o un tramonto mi ricordano come il mondo vada avanti sempre, come il sole sorga e tramonta ogni giorno da milioni di anni e non smetterà di farlo, nemmeno quando sembra non ci possa essere un domani. Mi mantiene nel qui ed ora, mi aiuta a lasciarmi alle spalle i fallimenti.
